La mostra “Tino Stefanoni. L’enigma dell’ovvio” in corso presso la Galleria Gruppo Credito Valtellinese, in Corso Magenta n. 59 a Milano

Un’antologica di Tino Stefanoni

  Cultura e società   

Dal 20 novembre 2013 all’11 gennaio 2014, la Galleria Gruppo Credito Valtellinese, spazio milanese dell’omonima Fondazione, presenta L’enigma dell’ovvio, la più grande e completa antologica di Tino Stefanoni, nato a Lecco nel 1937, dopo aver studiato al Liceo Artistico Beato Angelico e alla facoltà di architettura del Politecnico di Milano, inizia la sua attività artistica nel 1967 con il conseguimento del 1° premio S. Fedele di Milano e nel 1968 con la prima personale alla storica galleria Apollinaire di Milano con un saggio di Pierre Restany. Dal 1967 a oggi Stefanoni ha partecipato a molte esposizioni in Italia e all’estero. Nel 1970 e nel 2011 ha partecipato alla Biennale di Venezia.

La mostra, curata da Valerio Dehò, con il sostegno di Licini Gomme e Trizero, propone oltre cento opere, realizzate dal 1965 a oggi, che documentano il percorso creativo di un artista capace di combinare gli echi della Pop Art internazionale con la razionalità della Metafisica.

Il percorso espositivo cronologico si apre con le opere nelle quali si avvertono le suggestioni della Metafisica di Carlo Carrà che Stefanoni predilige rispetto a quella di Giorgio de Chirico per la sua capacità di far scoprire la bellezza nascosta nella vita quotidiana. Nel ciclo dei Riflessi (1965-1968), i piccoli rilievi tondi diventano la base per dipingere dei paesaggi in miniatura, in cui già si percepisce la cura al dettaglio che diventerà nel tempo una delle cifre più caratteristiche dell’artista lecchese.

A cavallo tra la fine degli anni Sessanta e l’inizio degli anni Settanta, Stefanoni intuisce per primo la possibilità di utilizzare la segnaletica stradale nella rappresentazione della realtà, in maniera ironica e distaccata. Nascono così i Segnali stradali regolamentari, al cui interno sono inseriti oggetti-icona che rispondono a quell’esigenza linguistica, propria di quegli anni, di far conquistare all’elemento visivo territori che appartenevano alla parola.

Queste immagini ritornano protagoniste nelle tele degli anni ’70 che mostrano una ‘metafisica senza mitologia’ con oggetti comuni come matite, mescoli, borse per l’acqua, flaconi, imbuti, e altro, disposti su ordinate fila, sovrapposti o affiancati gli uni agli altri che dialogano con lo spazio vuoto o segnato da linee geometriche.

È il caso del ciclo delle Piastre, guida per la ricerca delle cose (1971), sculture che rispettano la bidimensionalità del disegno o della pittura o delle Memorie (1975-1976) dove le tracce degli oggetti sono replicati dai segni lasciati dalla carta carbone. In questi lavori, il richiamo alla Pop Art svanisce a favore del rigore dell’arte concettuale, alla quale Stefanoni si avvicina già alla fine degli anni ‘70 con Elenco di cose (1976-1983), una serie di 215 quadri realizzati con la lente d’ingrandimento, dove soggetti minimali e quotidiani, estranei alla tradizione della pittura come pinze o martelli, diventano protagonisti di una ritrattistica quasi maniacale. A questa, seguirà quella delle Apparizioni (1983-1984) in cui domina l’essenzialità della linea e la distanza dal colore, con immagini impalpabili come colte attraverso un cielo nebbioso.

Tino Stefanoni non adopera dei simboli, non vuole far aprire le porte all’ignoto o dell’inconoscibile. - afferma il curatore, Valerio Dehò - La sua apparente freddezza racchiude una passione per tutto ciò che di semplice l’uomo sia riuscito a creare, la sua arte ha pochi coinvolgimenti emotivi in questa fase proprio per l’essenzialità della disciplina platonico-cartesiana, ma presuppone la complicità dello spettatore, la sua capacità di farsi sorprendere dall’ovvietà come strada per rileggere l’intera realtà. Il lavoro di Stefanoni è cristallo di rocca da scaldare con lo sguardo.

Dalla metà degli anni ’80, con Senza titolo, il colore racchiuso dalla linea nera caratterizza le nature morte e le vedute, mai la figura umana. Sono ambientazioni nelle quali Stefanoni recupera, senza mitizzarla, la Metafisica, ma in cui è sempre presente la memoria della lezione di eleganza e rarefazione del Beato Angelico, al quale spesso Stefanoni si richiama per la passione per l’osservazione, legata alla rivelazione delle geometrie segrete tra gli oggetti e gli elementi del paesaggio.

Le sue casette, i suoi alberi sono oggetti ridotti all’essenziale, alla semplicità di una forma riconoscibile, quasi illustrativa. Sono elementi della storia dell’arte italiana che diventano icone, per questo devono essere comprensibili, proprio perché hanno dei valori diversi dalla semplice rappresentazione.

I paesaggi o le nature morte che costituiscono gran parte del lavoro di Stefanoni non vogliono spiegare o raccontare, quanto rappresentare uno stato delle cose.

Anche le sue più recenti Sinopie, richiamando la tecnica dell’affresco, riflettono questo suo inserimento nella classicità del dipingere e aprono a delle forme di azzeramento del colore e dei contorni dei paesaggi, fino a diventare semplice pittura, sempre alla ricerca dell’essenzialità.

Accompagna la mostra, un catalogo (edizione Fondazione Gruppo Credito Valtellinese), con testo del curatore e un saggio inedito che Arturo Schwarz ha voluto dedicare a Tino Stefanoni.

Di Tino Stefanoni è in preparazione il catalogo generale della sua opera, che sarà pubblicato da Umberto Allemandi & C., a cura della Galleria Armanda Gori, Prato.

Info: Tino Stefanoni. L’enigma dell’ovvio - Galleria Gruppo Credito Valtellinese, Corso Magenta n. 59, Milano - www.creval.it.

S.G.

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