Le cose che verranno di Mia HANSEN-LØVE

20/04/2017

LE COSE CHE VERRANNO ci ha ricordato un po’ i film di Bergman, con quei personaggi dell’Europa del Nord estremamente pacati, che anche di fronte alle disavventure della vita sembrano non provare mai sentimenti eccessivi come odio o rabbia, o almeno li tengono assolutamente nascosti nel profondo del proprio animo.

Abituati ormai alle tragiche notizie della nostra cronaca, che quasi quotidianamente ci raccontano di uomini che preferiscono uccidere piuttosto che accettare l’allontanamento della compagna, si resta un po’ spiazzati nell’assistere alla vicenda di Nathalie e Heinz che dopo 25 anni di matrimonio si lasciano senza un litigio o un insulto. Vero è che qui è lui a decidere di andarsene perché si è trovato un’altra partner, ma il carattere dei due fa supporre che nulla sarebbe cambiato se fosse stata lei a decidere per la rottura.

L’ambiente è quello di una benestante coppia borghese di Parigi con due figli. Nathalie insegna con passione filosofia in un liceo di Parigi. Per lei la filosofia non è solo un lavoro, ma un vero e proprio stile di vita, che oltre all’insegnamento la porta a collaborare con una piccola casa editrice nella produzione di una collana di testi di critica filosofica. Un tempo fervente sostenitrice di idee rivoluzionarie, ha convertito l’idealismo giovanile nell’ambizione più modesta di “insegnare ai giovani a pensare con le proprie teste” e non esita a proporre ai suoi studenti testi filosofici che stimolino il confronto e la discussione.

Nonostante i piccoli problemi che si possono presentare nella vita quotidiana in una grande città, e nonostante la presenza di una madre sofferente di Alzheimer che ha bisogno di continue attenzioni, Nathalie divide le sue giornate tra la famiglia e la sua dedizione al pensiero filosofico, in un contesto di apparente e rassicurante serenità. Ma un giorno, improvvisamente, il suo mondo viene completamente stravolto: suo marito le confessa di volerla lasciare per un’altra donna e Nathalie si ritrova, suo malgrado, a confrontarsi con un’inaspettata libertà.

Con il pragmatismo che la contraddistingue, Nathalie deve reinventare la propria vita prendendosi cura da sola dei figli, sistemando a malincuore in una casa di riposo la madre ormai assolutamente inadatta ad una vita da sola e prendendosi anche cura di Pandora, la gatta nera che la madre non può portarsi dietro al ricovero.

In questa nuova fase della vita è di supporto a Nathalie il rapporto con Fabien, un suo ex studente, anch’egli appassionato di filosofia e collaboratore per la stessa collana di testi. Benché a lungo nel film lo spettatore sia indotto ad aspettarsi che il rapporto tra i due diventi qualcosa di più intimo, in realtà la cosa rimane sempre a livello di complicità intellettuale, e diventa quasi un lettino di psicanalista che consente a Nathalie di capire meglio se stessa e di dare un nuovo indirizzo alla propria vita.

Ci è sembrato allegorico l’episodio che avviene a un certo punto, quando Nathalie va a passare qualche giorno insieme a Pandora nella casa di montagna dove Fabien vive con la compagna ed altri amici in una specie di comunità hippy. Una sera Pandora si allontana nel bosco e Nathalie, dopo averla inutilmente richiamata fino a notte fonda, sembra ormai rassegnata all’idea che la gatta, abituata alla comoda vita in famiglia, morirà di stenti o uccisa da qualche predatore selvatico. Invece la mattina seguente Pandora ritorna incolume e con un topolino in bocca.

Sembra chiara l’allusione al fatto che anche Nathalie, nonostante la fine di quello che sembrava un tranquillo ménage familiare, potrà trovare nelle proprie forze e nel proprio istinto la capacità di ricostruire una vita piena di contenuto. E infatti la vediamo nel finale prendersi cura del suo primo nipotino regalatole dalla figlia.

Il film, sceneggiato e diretto da Mia HANSEN-LØVE, è interpretato da Isabelle HUPPERT, André MARCON, Roman KOLINKA, Edith SCOB, Sarah LE PICARD, Solal FORTE, Elise LHOMEAU, Lionel DRAY, Grégoire MONTANA-HAROCHE, Lina BENZERTI. È in sala dal 20 aprile.

Ugo Dell’Arciprete