FOCUS ON LINE - RIVISTA N° 2, 22 gennaio 2014

Cultura e società , Cinema, teatro e spettacoli vari

Anita B di Roberto Faenza
Il film interpretato da Eline Powell, Robert Sheehan, Moni Ovadiae Jane Alexander è tratto dal romanzo di Edith Bruck “Quanta stella c’è nel cielo”

Anita (Eline Powell), un’adolescente di origini ungheresi sopravvissuta ad Auschwitz, è accolta dall’unica parente rimasta viva: Monika, sorella di suo padre, che non vuole essere chiamata zia e vive l’arrivo della nipote come un peso.

A Zvikovez, tra le montagne della Cecoslovacchia non lontane da Praga, Monika vive con il marito Aron, il figlioletto Roby e il fratello di Aron, il giovane e attraente Eli (Robert Sheehan), la cui filosofia è spiccia: “gli uomini tirano giù i calzoni, mentre le donne pensano all’amore”. In quel villaggio dei Sudeti, territori in precedenza occupati dai tedeschi, i nazisti vengono rimpatriati a forza e gli scampati trasferiti nelle loro abitazioni, in una situazione di crescente tensione con l’avvento del comunismo.

Attorno ad Anita, uomini e donne vogliono dare un calcio al passato, ballare, divertirsi, ascoltare di nascosto le canzoni americane trasmesse oltre cortina dalla Voice of America. Anita sogna come tutti, ma a differenza degli altri non nasconde l’anima.

La ragazza è combattiva e piena di entusiasmo. La sua forza viene dal ricordo dei genitori persi nel lager. Ma nella nuova casa si trova ad affrontare una realtà inaspettata: nessuno, neppure Eli, con cui scoprirà l’amore, vuole ricordare il passato. E il più grande tabù è proprio l’esperienza del campo, quasi fosse qualcosa di cui vergognarsi.

Quando Anita tenta di smontare quella difesa collettiva si trova davanti un muro di silenzi. Così, se vuole parlare di ciò che ha passato, può farlo solo con il piccolo Roby, che ha appena un anno e non può capire.

Nella mescolanza di popoli e lingue che confluiscono attorno a Praga, Anita si confronta con personaggi indimenticabili: il vulcanico zio Jacob, coscienza critica della comunità ebraica ed estroso musicista nella festa del Purim; Sarah, la dinamica “traghettatrice” armata di pistola, che organizza l’esodo verso la Palestina; il giovane David, rimasto orfano per la tragica scelta dei genitori, con cui inizia una toccante amicizia.

Improvvisamente, Anita si trova catapultata in una situazione imprevista, che la pone di fronte a una decisione che richiede coraggio. E il film si chiude con un inatteso colpo di scena.

Faenza sviluppa il tema della negazione della memoria incarnandolo in una ragazza che dovrebbe solo pensare al futuro e, invece, si ostina a cercare le radici oscure del passato, sulle quali sollevarsi con maggiore sicurezza.

Lascia Auschwitz fuori da questa casa, le intima Eli, ed è solo la prima avvisaglia del comportamento ambiguo e minaccioso del giovane nei confronti di Anita. L'attrazione è reciproca, così come la diffidenza. È questa la chiave di lettura più interessante di Anita B., dove l'iniziale B. è un omaggio a Edith Bruck, la scrittrice sul cui romanzo "Quanta stella c'è nel cielo" è basato il film di Faenza.

Anche questo film, come tutto il cinema di Faenza, è un omaggio alla capacità di resistenza femminile e al lato indomito dell'altra metà del cielo.

Anita B. si colloca a metà fra il sussidiario, con i suoi monologhi e dialoghi didascalici pensati per spiegare la Storia anche alle generazioni più disinformate, e la favola yiddish, con personaggi come Jacob, "lo zio che tutti vorrebbero avere" interpretato da Moni Ovadia, e scene corali come quella del ballo della comunità.

Particolarmente interessanti la fotografia di Arnaldo Catinari, il montaggio di Massimo Fiocchi, le musiche di Paolo Buonvino e i costumi di Anna Lombardi.

Il racconto, piacevole, comunica un messaggio di speranza a chi si trova incagliato fra passato e futuro.