FOCUS ON LINE - RIVISTA N° 10, 12 ottobre 2015

Turismo d’autore, In Italia

Profumi e leggende della Val di Fassa
Scenario privilegiato per leggere le antiche leggende delle Dolomiti, la Val di Fassa presenta le sue eccellenze gastronomiche

C’era una volta un principe, figlio del sovrano delle Dolomiti, che un giorno ebbe la bella idea di innamorarsi della figlia del re della Luna. Sedotta dalla corte appassionata del principe terrestre, la principessa abbandonò il candore argenteo del mondo lunare per seguire il marito. Ma c’era un problema: le Dolomiti erano troppo variopinte, i loro colori troppo accesi e la principessa si struggeva di nostalgia per il paese natio. Distrutta dalla malinconia, la figlia del re della Luna fece armi e bagagli e tornò alla terra del padre. Il marito tentò di seguirla ma - ahimé - non era fatto per vivere sulla Luna: i suoi occhi, abituati al tripudio coloristico dei prati e delle valli, mal sopportavano il chiarore uniforme della luce lunare e il principe rischiava di diventare cieco. Benché innamoratissimi, i due sposi sembravano destinati a lasciarsi, ma la sorte aveva in serbo una sorpresa per loro: un regalo degli elfi, che passarono una notte a tessere la luce lunare per rivestire con il suo candore le variopinte valli e le cime delle Dolomiti. La principessa e il suo sposo poterono finalmente riunirsi: per una stagione all’anno - il lungo inverno delle montagne - la principessa avrebbe ritrovato sulle cime innevate lo scenario ovattato della sua infanzia. Nacquero così i ‘monti pallidi’: nome che ricorda tanto le Dolomiti, quanto una celebre raccolta di leggende, dedicata alle montagne da Carlo Felice Wolf ai primi del Novecento.

La Val di Fassa, cuore pulsante del mondo fatato evocato da Wolf, è lo scenario privilegiato per leggere le antiche leggende delle Dolomiti, dall’epopea di Re Laurino - che a Moena, fa capolino da diversi murales - alla storia del Lago di Carezza, dove un mago respinto frantumò e gettò nelle acque lacustri un arcobaleno sfavillante di colori. Per chi passeggia per le vie del paese, il legame tra modernità e tradizione è una realtà palpabile, che trapela in ogni angolo. Soprattutto in manifestazioni come ‘Fassa Fuori Menu’: il festival di performances gastronomiche che il 19-20 settembre ha messo in campo l’abilità degli chef stellati della zona, sullo sfondo di riti antichi ma ancora vivi come la ‘desmontegada’ (il ritorno delle mucche dall’alpeggio). D’altra parte, è a tavola che emerge l’identità di un luogo, è nei piatti e nelle ricette che si gioca a carte scoperte la capacità di guardare al futuro senza recidere il cordone ombelicale con il passato.

Parliamo dei ristornati di Moena, per esempio: della bellissima Malga Panna, dove - tra un crudo di cervo e un salmerino al fumo di faggio - vi serviranno un cappuccino di zucca e puzzone di Moena che ricorderete (e rimpiangerete) negli anni a venire. O del ristorante El Filò, dove a fine pasto vi presenteranno un dessert che si rifà alla tradizione in modo davvero creativo. Si tratta del gelato al cirmolo, un dolce freschissimo e leggero, che guarda al mondo dei boschi: al fitto sipario di conifere che, da queste parti, si impone anche a valle. Il pino cirmolo, è una conifera particolare (si distingue dalle altre perché gli aghi sono accorpati a gruppi di cinque), che nasce in modo totalmente diverso rispetto agli altri pini. La ‘cicogna’, nel suo caso, è un uccellino che si chiama ghianda nocciolaia: un volatile che puntualmente - e provvidenzialmente - fa scorta di pigne, dimenticando poi dove le ha depositate. Il pino cirmolo nasce così. Il suo legno, in Val di Fassa, è un must: materia prima privilegiata dagli scultori del luogo, viene spesso utilizzato per tappezzare le camere da letto. Si dice infatti che il legno di cirmolo rallenti il battito cardiaco, facilitando il sonno. Leggenda? Realtà? Difficile dirlo. In questi luoghi, d’altra parte, i due ambiti sembrano intrecciarsi a filo doppio.

Questa trama, intessuta di storia e leggenda, emerge anche in uno dei quartieri più belli di Moena: il rione Turchia, un ‘piccolo mondo antico’ dove gli anni sembrano davvero essersi fermati. Proprio come in ‘Brigadoon’, il celebre film di Vincente Minnelli. Stradine strette e paciose, fienili, cascate di fiori: il rione Turchia è un vero e proprio paese nel paese. Il toponimo rimanda alla storia di un soldato ottomano ferito (sarà poi esistito davvero?) che secoli fa venne accolto dalla popolazione locale. Una storia di integrazione ante litteram che, agli abitanti del rione, fruttò un nomignolo (vennero chiamati ‘i Turchi’) e un ricordo che negli anni si sarebbe trasformato in tradizione. A Carnevale, chi passerà da queste parti, assisterà infatti a una cerimonia piuttosto inconsueta: per ricordare il soldato ottomano, gli abitanti del quartiere indossano infatti costumi tradizionali turchi e si esibiscono in danze e spettacoli dal colore esotico.