Milano, Piccolo Teatro: HUMAN, odissea ribaltata

07/10/2016

Dal 7 al 14 ottobre al Teatro Strehler va in scena HUMAN, “odissea ribaltata”, Viaggio lungo la linea che separa umano e disumano, uno spettacolo di Lella Costa e Marco Baliani, con le musiche originali di Paolo Fresu, le scene e i costumi di Antonio Marras Ma noi, come potremmo noi cantare. Per dire cosa? Che in fondo siamo brave persone? Che di sicuro non proviamo odio? Che la loro tragedia ci coinvolge, ci sconvolge davvero, solo non sappiamo se siamo autorizzati alla pietà, dove ci porta questa fratellanza forzata, nuova, inquieta …

HUMAN nasce dall'urgenza di interrogarsi e interrogarci sul significato profondo del concetto di umanità, riflettendo su migrazione e integrazione.

La prima ispirazione è stata l’Eneide, il poema di Virgilio che celebra la nascita dell’impero romano da un popolo di profughi: in una lectio magistralis tenuta nell'aula magna dell'Alma Mater Studiorum di Bologna, Marco Baliani è partito dal mito per interrogarsi e interrogarci sul senso profondo del migrare. Poi l'incontro con Lella Costa e la reminescenza di un altro mito, ancora più folgorante nella sua valenza simbolica e profetica: Ero e Leandro, i due amanti che vivevano sulle rive opposte del fiume Ellesponto. Al centro della riflessione lo spaesamento comune, quell’andare incerto di tutti quanti gli human beings in questo tempo fuori squadra.

Così Lella Costa e Marco Baliani raccontano HUMAN, “odissea ribaltata”: Il titolo lo abbiamo trovato, la parola HUMAN sbarrata da una linea nera che l’attraversa, come a significare la presenza dell’umano e al tempo stesso la sua possibile negazione. Umano è il corpo nella sua integrità fisica e psichica, nella sua individualità. Quando questa integrità viene soppressa, o annullata con la violenza, si precipita nel disumano. Umani sono i sentimenti, le emozioni, le idee, le relazioni, i diritti. Li abbiamo sognati eterni e universali: dobbiamo prendere atto - con dolore, con smarrimento - che non lo sono. La storia del nostro novecento e ancora le vicende di questo primo millennio ci dicono che le intolleranze e le persecuzioni, individuali o di massa, nei confronti degli inermi e degli innocenti, continuano a perpetrarsi senza sosta. Con la nostra ricerca teatrale vorremmo insinuarci in quella soglia in cui l’essere umano perde la sua connotazione universale, utilizzare le forme teatrali per indagare quanto sta accadendo in questi ultimi anni, sotto i nostri occhi, nella nostra Europa, intesa non solo come entità geografica, ma come sistema “occidentale” di valori e di idee: i muri che si alzano, i fondamentalismi che avanzano, gli attentati che sconvolgono le città, i profughi che cercano rifugio. Ma se ci fermassimo qui sarebbe un altro esempio di cosiddetto teatro civile, e questo non ci basta: non vogliamo che lo spettatore se ne vada solo più consapevole e virtuosamente indignato o commosso. Vogliamo spiazzarlo, inquietarlo, turbarlo, assediarlo di domande. E insieme incantarlo e divertirlo, ché è il nostro mestiere. E per riuscirci andremo a indagare teatralmente proprio quel segno di annullamento, quella linea che sancisce e recide: esplorare (e forse espugnare?) la soglia fatidica che separa l’umano dal disumano, confrontarci con le parole, svelare contraddizioni, luoghi comuni, impasse, scoperchiare conflitti, contraddizioni, ipocrisie, paure indicibili. Vorremo costruire un teatro spietatamente capace di andare a mettere il dito nella piaga, dove non si dovrebbe, dove sarebbe meglio lasciar correre. E andare a toccare i nervi scoperti della nostra cultura riguardo alla dicotomia umano/disumano. Senza rinunciare all’ironia, e perfino all’umorismo: perché forse solo il teatro sa toccare nodi conflittuali terribili con la leggerezza del sorriso, la visionarietà delle immagini, la forza della poesia.

Antonio Marras: costumi come brandelli d’identità - Ho accettato senza riflettere un secondo! Seppure con terrore e spaesamento, ho immediatamente accettato l’invito di Marco Baliani ad occuparmi delle scene e dei costumi dello spettacolo. Per me, nato e cresciuto in Sardegna, un’isola al centro del Mediterraneo, in una posizione che nei secoli l’ha resa teatro di guerre e massacri, violenze e sopraffazioni e pure crocevia di scambi, incontri e confronti con tante genti, era naturale sentire il mare e sentire di popoli che emigrano. La storia attuale è stata la nostra storia. Una storia di migrazioni, di strazi, di partenze e arrivi, traversate e viaggi, spostamenti solitari e ricongiungimenti familiari. Imprese impossibili all’insegna della disperazione e della speranza, alla spasmodica ricerca di un altrove migliore, una storia di interi paesi abbandonati per forza e per necessità. Ho pensato a costumi che riflettessero un’immagine dell’identità molto vicina a quella “a brandelli”, a “stracci e toppe” citati dall’antropologo Francesco Remotti. Ho utilizzato abiti usati, rifiutati, scartati che, come materiale di base, ben sintetizzano il tema della memoria e delle sovrapposizioni culturali, nate dall’incontro con la diversità e con nuovi contesti. Abiti portatori di frammenti di identità, di storie personali e collettive. Storie da riscrivere, reinventare, raccontare attraverso effimeri indumenti. Il colore che domina è il rosso in due tonalità, più calde, più fredde, dal mattone al bordeaux, dal più acceso al più cupo. Sono tonalità che fanno riferimento al mio “ligazzo rubio”, un vero e proprio oggetto-simbolo per me, carico di significati, di suggestioni, di fascino; il mio filo d’Arianna che guida attraverso il labirinto del mondo e indica la strada; un filo che unisce saldamente, annoda affetti, sentimenti, emozioni, resiste al tempo e all’usura, tiene radicato ciò che parte a ciò che resta. Il colore rosso richiama il sangue, inteso come forza vitale, purificazione, rigenerazione, scorrere di esperienze, movimento, cuore, affetti, sentimenti, calore, protezione, passione. Così anche la scena è vestita con la stessa modalità dei costumi. Fondale e pavimento sono il risultato di cumuli e accumuli di abiti incastrati, intessuti, stratificati, incrostati, assemblati e sovrapposti. Orde di popoli in fuga, il nuovo medioevo è di nuovo fra noi.

Mercoledì 12 ottobre, alle ore 17.00, nel Chiostro Nina Vinchi (via Rovello 2), in occasione dello spettacolo, si terrà un incontro aperto al pubblico con Lella Costa, organizzato in collaborazione con Mani Tese. Ingresso gratuito con prenotazione a comunicazione@piccoloteatromilano.it

Info, prenotazioni: HUMAN, scritto da Marco Baliani e Lella Costa, scene e costumi di Antonio Marras, musiche originali di Paolo Fresu con Gianluca Petrella, regia di Marco Baliani, con Marco Baliani e Lella Costa - Piccolo Teatro Strehler (Largo Greppi - M2 Lanza) - dal 7 al 14 ottobre 2016 - martedì, giovedì e sabato, 19.30; mercoledì e venerdì 20.30; domenica 16; lunedì riposo - 100 minuti senza intervallo - platea 33 euro, balconata 26 euro - tel 0242411889 - www.piccoloteatro.org